An end has a start

Quel che non ti dicono è che dopo il punto finale, c’è un vuoto. Un lungo salto, silenzioso e vacuo, che a volte finisce altrove, a volte finisce in nulla.

Questa volta è finito in nulla, per qualche tempo.

Ed ora mi trovo a metà di un capitolo che non volevo leggere, né scrivere. Ma mi trovo qui, e scrivere (scrivere, ma non scriverne, per ora) è tutto quello che mi resta. E allora rimesto le parole nel vecchio barattolo di latta dove le avevo messe da parte, sperando in fondo al cuore di non doverle usare più. Perché avevo smesso di scrivere come avevo smesso di parlare, e chissà se invece il mio silenzio sarebbe stato ascoltato con un po’ più di attenzione. Non è stato così, e allora ho deciso di non parlare più, nemmeno a me stesso. Ma neanche questo ha funzionato.

Ora sono di nuovo qui, con le mani vuote e le tasche bucate ( e so soltanto io quanto questa non sia una metafora) a mendicare un po’ di attenzione da me stesso: perché non di solo pane vive il cuore dell’uomo, e infatti il mio cuore affamato mi sta divorando dall’interno senza tregua, ad eccezione delle ore contate che vivo con mio figlio, e che mi sembrano le uniche in cui sono davvero vivo. E in attesa che nella dispensa finisca anche il pane, fingo di non soffrire e di rado piango, mentre certe volte vorrei piangere per tutta la vita. Ma la sorgente delle lacrime si è inaridita: vi ha trovato rifugio soltanto la piccola anima nera, dalle ali appuntite che ho ricevuto in dono insieme alla vita, incapace di camminare sulle sue gambe per se stessa, ma che tempo fa era stata capace di volare per gli altri.

E con la punta del piede la stuzzico, un po’ con la speranza di scoprirla morta, un po’ con il malcelato desiderio di schiacciarla sotto il tacco della scarpa, mentre tra i denti sibilo una bestemmia:

“Vola, maledetta rondine. Vola.”