Capitoli

Punto, e a capo.

Per chi ha avuto la fortuna di vivere, come me, una vita a capitoli, si fa difficile afferrare le strategie di sopravvivenza di una vita fatta di episodi. Tant’è: se si ha da imparare, si imparerà anche questo.

Perché la maggiore difficoltà sta nel capire la metrica con cui si scrive: gli episodi hanno vita breve, non di rado non portano, narrativamente, da nessuna parte. Bisogna farsi piccoli, passeggeri degli eventi della propria vita invece che scrittori del proprio supposto romanzo, e restare aperti alla possibilità che le proprie parole restino sfilacciate, senza un nodo conclusivo che ne chiuda gli estremi. Bisogna mettere da parte il proprio ego, e accontentarsi di un presente da comparse sul tavolato malfermo del palco su cui recitiamo questa farsa (chiamatela tragedia, se siete delle persone di buon senso, o dramma se invece riuscite a godere del suo valore morale; oppure commedia, se come me avete il senso della tragica ironia – no, non ironia: sarcasmo- del doverla vivere a tutti i costi. ) che i più puri di cuore insistono a chiamare vita.

No, davvero. A me non piace questa vita.

Però ammetto di esserne attratto, per una volta desideroso di vivere una vita a episodi di scarsa significanza, e di ancora minori conseguenze. Una vita dove sono la comparsa di qualche minuto lungo il percorso di qualcun altro, per poterne vampirizzare le qualità. Un parassita dell’esistenza degli altri, perché in certi momenti in cui la luna calante illumina gli angoli meglio strutturati della mia ragione, realizzo che mentre il tempo erode gli angoli più taglienti dell’anima, allo stesso tempo ne rivela l’essenza. Essenza della mia anima che non è niente, solo un fuoco che è un lumicino, si consuma la cera, e come diceva una vecchia canzone: non ci sono più.