Ho visto Nina volare

Per i morti solo la terra, e la pace. Il dolore ai vivi.

E il dolore degli altri è sempre così lontano da raggiungere, ma così facile da vedere. Ed è così semplice ascoltare lo scorrere dell’anima che fugge via, ma è così difficile da fermare.

E quando chi spicca il volo è stato parte della tua vita, quella parte della tua vita rimane a terra, e lei invece se ne va.

E intanto il vento che soffia viene da lontano, e lontano se ne va. L’acqua del lago scorre via in circa quattro mesi, e mi chiedo se altrettanti basteranno per far scorrere via le ceneri, e con esse il dolore di chi resta.

Ma queste domande me le pongo restando lontano, al di là del vetro che mi separa dal mondo

 

duemilaeventuno

Mi scopro fragile e spaventato dall’alba di un nuovo cambiamento. Stanco, persino. E di certo desideroso di avere una piccola gioia qualunque, egoistica forse. Ma la soddisfazione di poter rubare anch’io una mela dall’albero della vita, e mangiarla di nascosto dietro la siepe: un furto infantile che mi riempia la pancia, mi riporti il sorriso. E intanto mi lascio scivolare il tempo addosso, e non dovrei. Dovrei fare piani, progetti, contare e mettere in fila numeri, e non lo faccio perché ho paura dei risultati. Perché ho paura della crudeltà della matematica.

Eppure dovrò pur affrontare il futuro che mi si para innanzi: e smontarlo un pezzo per volta, e con quel pezzo costruirmi una casa per me.

 

 

Cuore di cane

“Al cuore si comanda” dissi; ma quasi sottovoce, perché già sapevo di dire cosa poco gradita, e infatti nel suo sguardo ci fu un momento di incredulità mista a sufficienza. L’atteggiamento che hanno gli spiriti illuminati quando ne incontrano uno ancora nel buio. Ma in maniera gentile, perché dopotutto è una amica. E di questa gentilezza le sono grato.

Si fermò per qualche istante a spiegarmi che no: il cuore è libero e i suoi sentimenti fluiscono e sgorgano e bisogna lasciarli scorrere e per il benessere del proprio karma. Che Comandare il Cuore è un’illusione.

Ed io sorrido pensando che “Al cuore si comanda” è palesemente una provocazione: l’antitesi del luogo comune “Al cuore non si comanda”. E in quanto antitesi di un luogo comune, il suo scopo è quello di portarci da un’altra parte.

Perché mi pare ovvio che al cuore non puoi impedire di sentire. Ma gli devi insegnare a reagire. E lo penso nello stesso momento in cui lo faccio, perché da una vecchia crepa era percolato al suo interno un’illusione, che lo ha fatto battere un pochino più forte, un pochino più veloce. Ma non era cosa, non era il momento e forse nemmeno il caso, e comunque non dipendeva soltanto da lui. Ma anche dal cuore di qualcun altro.

Perché il cuore è un animale: morde e divora quando ha fame, o si impaurisce e scappa quando ferito. Si rifugia in boschi tetri e non ha regole. E se lo lasci fare, sa fare del male. Ma non è un animale cattivo: e gli puoi insegnare a camminare a fianco, godersi la compagnia degli altri cuori che ci sono intorno, e leccarsi le occasionali ferite quando, di tanto in tanto, ci si scontra con gli altri.

Più correttamente, avrei dovuto dire che ” Il cuore va educato”

Perché altrimenti è inutile indignarsi perché le persone si fanno del male in nome del cuore selvaggio. “Delitti passionali”, li chiamano, come se fosse una giustificazione, e invece delitti restano. Ma senza arrivare a tanto: fare del male in nome dell’amore, della passione, tutto per togliersi la soddisfazione di un momento, non è esperienza rara.

E intanto il mio cuore tira il guinzaglio e mi richiede qualche coccola. Forse perché invecchiando si è fatto mansueto, ma non per questo non sente il dolore sottile del rifiuto.  E allora oggi e per qualche giorno gli cederò un biscottino in più, e qualche coccola extra. E con il mio cuore a guinzaglio, me ne vado a spasso per il resto del giorno che ancora resta, prima che si faccia di nuovo sera.

 

Quattro passi e due pensieri in tasca

Ho imparato da tempo a camminare, ed è un esercizio che faccio volentieri sovrappensiero e impreparato. Le scarpe scomode e troppi vestiti addosso. Certe volte nella testa nessun pensiero, altre volte invece troppi.

Nell’ultimo caso, li faccio correre nella ruota dentata che alimenta la mia coscienza. E loro diligenti corrono, all’inseguimento di nulla, come ogni topo nella ruota che si rispetti. Ma il primo caso è più peculiare: perché se non ho pensieri miei da pensare mentre cammino, spesso ne raccolgo altri che trovo lungo lungo la strada, e che non appartengono ancora a me. Come sassolini li metto in tasca e quelli disordinatamente sbatacchiano tra di loro, ma come smorzati dalla stoffa dei pantaloni. Certe volte con la scusa del freddo metto le mani in tasca e ne rigiro qualcuno tra le dita.

Certe altre volte (Ma cerco di evitare, e lo faccio sempre più di rado) ne tiro fuori qualcuno e lo ammiro alla luce del sole. E il più delle volte è un pensiero grezzo, abbozzato e probabilmente abbandonato perché mal riuscito, e gettato a terra tra i tanti pensieri sprecati che si fanno. Con le orecchie guardo dove metto i miei passi, e cerco di decifrare le migliaia dei pensieri degli altri che formano il fondo scricchiolante su cui percorriamo le nostre comuni strade. Che noi immaginiamo asfaltate, o quanto meno lastricate di buone intenzioni. E invece il più delle volte sono ricoperte della ghiaia polverosa dei pensieri rimpianti e quindi abbandonati lì: che almeno separino le nostre scarpe sfatte dal tanto camminare, dal fango di cui è fatto il mondo.