Il primo addio

Non sono riuscito a dirti addio. Non è esattamente la mia specialità.

E no, non ho pianto lì per lì.

Come avrei potuto?

Ho pianto prima, molto prima, ma non era dolore. Solo angoscia, dispiacere. E l’ho fatta diventare – ecco, questa invece sì è la mia specialità – l’ho fatta diventare tristezza. Ho pianto quando ho saputo quello che sarebbe successo, che il natale venturo non l’avremmo visto insieme. Ho pianto per te, ho pianto per mio figlio che avrebbe perso suo nonno. Non ho pianto per me, perché non sei stato mio padre. E questo lo dico con un sorriso, senza dispiacere. Perché a me un padre non serviva, e per te un figlio come me era di troppo. Ci abbiamo messo anni, decenni ad aggiustarci. E non abbiamo mai finito di farlo. Ma eravamo famiglia, questo si. Una famiglia strana da spiegare, disfunzionale perché nessuno di noi aveva un ruolo consolidato, tradizionale. Eravamo – siamo – tutti una via di mezzo tra un ruolo e l’altro, tutti un po’ estranei e tutti legati da qualcosa che non è sangue. Forse nemmeno destino. Volontà, fatica, affetto. E una cosa a cui non voglio dare nome: perché non mi è mai piaciuta la parola amore. L’amore è mercanzia a buon mercato, roba buona per la pubblicità. E noi abbiamo faticato troppo per metterla insieme questa famiglia stramba, fatta di amici lontani e parentele informali, per incartarla con una parola tanto banale.

E come avremmo voluto non doverti vedere passare dalle forche caudine dell’inutile dolore, inevitabile attesa del momento che sapevamo certo, e lo sapevamo prossimo. Ma non abbiamo potuto fare quasi nulla per evitarlo.

E quando ti ho accarezzato la mano, un paio d’ore dopo che te ne eri andato, non ho potuto fare a meno di sorriderti. Che lo sapevo che non ti poteva più fare male questa vita. E con una punta di paura mi sono alzato dalla sedia per andare da mio figlio, per dirgli che suo nonno non c’era più. E tutta la rabbia per gli anni in cui ho faticato a portarlo da te, perché c’era chi si opponeva per banale capriccio, e tutta la delusa stanchezza per quel che ho dovuto passare, per poterlo fare diventare tuo nipote, e tutta la tristezza per il tempo che è andato sprecato; tutto si è dissolto di lì a poco quando ho preso mio figlio in braccio, e con le parole più semplici che sono riuscito a mettere insieme, gli ho detto la verità:

Il nonno si è addormentato.

E adesso non c’è più.

E lui, che a differenza di me pare saper portare la tristezza con una purezza che fa male a vederla, tanto è limpida e leggera, non mi ha detto niente: mi ha abbracciato e si è nascosto nella mia spalla, e ha lasciato scorrere una lacrima che dalle sue palpebre mi è caduta sul cuore. Una soltanto, perché una lacrima è sufficiente. E quando si è staccato ha sorriso e no, non ricordo che cosa ci siamo detti. Ma il mondo aveva compiuto un salto, ed ora eravamo dall’altra parte del dolore: e per qualche minuto abbiamo parlato di te. Dei tuoi ricordi che sono rimasti nel nostro cuore, delle foto dei tuoi viaggi, dei libri che hai scritto e delle persone che ti hanno voluto bene, e a cui hai voluto bene.

Così, quando è arrivato il momento di portarti via, avevo già scelto con quale parola ti avrei salutato. E no, non ho voluto dirti addio.

Ti ho detto grazie.

Il primo addioultima modifica: 2021-09-06T14:33:12+02:00da lab79
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